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Friday, March 29, 2013

L'arco


Molti di quanti visitano Roma restano ammirati dalla grandezza di questa citta’ che ancora oggi attraverso i suoi monumenti riesce a fare immaginare qualcosa dello splendore dell’antico impero romano. Certamente il Colosseo impressiona per la sua bellezza, ma basta anche dare uno sguardo veloce alla campagna romana con i suoi acquedotti ancora li’ con i loro archi sospesi... L’arco infatti ha la capacita’ di sostenere tutto il peso della struttura distribuendone il peso in maniera uniforme, e solitamente e’ la parte piu’ forte di una struttura; cosi’ abbiamo ponti, acquedotti e strutture mastodontiche quali appunto il Colosseo.
 
Capacita’ dunque di collegare due punti opposti e, creando un arcata, sostenere la pesante struttura distribuendo il peso in maniera uniforme; ecco l’arco.
“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.” dal libro "La notte" di Elie Wiesel
La lettura di questo brano mi ha stimolato a fare una riflessione sulla importaanza della memoria, specialmente in contesto biblico, considerando l’eredita’ culturale dell’autore, gia’ premio Nobel per la letteratura. 
             La memoria come capacita’ di tenere insieme punti opposti creando come un arco sospeso che da’ solidita’ al tutto. Ecco allora l’esperienza del popolo di Israele nel vivere la sua notte (quella in terra di Egitto fatta di umiliazione e schiavitu’) e l’invito-comando a mai dimenticare, perche’ attraverso quella notte si e’ arrivati alla luce del giorno (terra promessa e liberta’). Notte madre che li ha generati a popolo di Dio; e’ dunque nella notte che attraversano il mare. Cosi’ sara’ anche del loro padre Giacobbe che nel passare il guado per tutta la notte si trova a lottare con un qualcuno (se stesso, il fratello e Dio stesso) ed e’ nella notte genarato a vita nuova ( non piu’ Giacobbe il suo nome, ma Isreale, padre di un nuovo popolo).
 
E le notti si susseguono inseguite dalla luce del nuovo giorno; ecco il popolo in esilio (nuova notte con crisi di identita’) e la domanda struggente che invoca speranza (“Sentinella, quanto rimane della notte?”); ed ecco la nuova liberazione (ritorno in patria e ricostruzione del tempio).
            L’esperienza vissuta nella carne di tutte queste notti porta Israele alla riflessione sulla stessa creazione dove notte e giorno continuano a creare il nostro arco (le tenebre ricoprivano la terra e la parola di Dio dice “luce” e luce fu). L’arco si allunga a coprire tutta la Bibbia fino alla sua conclusione (nell’ Apocaliise si dice della nuova creazione dove “ la notte non sara’ piu’, perche’ Dio sara’ la sua luce”).

Esperienza di un popolo questa che viene rivissuta da un suo figlio, Gesu’. Tutta la sua vita tra due notti madri; quella della nascita (ai pastori che vegliano nella notte una luce rifulse) e quella della morte, i tre giorni incorniciati dalla consegna di Giuda (“Usci, ed era notte”), notte vissuta sulla croce (“Dio mio...perche’ mi hai abbondonato?”), e notte su tutta la terra al momento della morte...ed ecco puntuale come sempre la luce, quella della nuova vita (“ le donne si recarono al sepolcro di buon mattino, quando il sole sorgeva”).

Di nuovo l’arco a mettere insieme morte e vita, notte e luce in quel nostro meravigliarci di fronte alla “tomba vuota”; tomba (morte e tenebre), eppure e’ vuota (luce e vita).
 

Quante notti vissute insieme oppure in solitudine, tra amari rimpianti e speranze spezzate... e l’invocazione ad un qualcuno “Sentinella, quanto rimane della notte?”, invocazione che dice la sofferenza della notte ed allo stesso tempo grido di speranza, perche’ un arco li mette insieme sostenendo tutta la nostra vita. Vita la nostra che trova nella croce del Risorto il suo arco....
Ed allora faccio eco a Weisel nel dire:
“Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.” 

 Buona Pasqua!

 

Sunday, March 25, 2012

LASCIATI PORTARE DALLA CORRENTE

    
Quanto sto per raccontarvi mi e’ successo solo l’altro ieri mentre prendevo la metro di ritorno a casa. Dopo un pomeriggio passato a far spese e con due pesanti buste tra le mani sono entrato nella metro e come al solito era piena di gente. E’ stato difficile trovare lo spazio necessario dove riporre le buste e all’improvviso un coreano sulla cinquantina si e’ alzato per cedermi il posto (deve essere l’effetto barba che mi fa piu’ anziano?), cosi’ senza tante parole e con la stessa fretta si e’ diretto verso la fine della carrozza. Sono rimasto sorpreso dal suo gesto e ho cercato per quanto possibile di vederne il volto; intanto e’ salito un ragazzino con la bicicletta, immaginatevi se era facile divincolarsi tra quella selva di gente… e ancora una volta quella stessa persona che mi aveva lasciato il posto e’ riuscito a creare altro spazio per accomodare il ragazzino con la sua bicicletta.

La buona volonta’ e generosita’ di quella persona mi avevano colpito e volevo in qualche modo dirgli grazie per sua attitudine. La metro si e’ fermata e l'uomo ne e’ disceso. Come avrei potuto ringraziarlo?

Vi e’ mai capitata una esperienza simile, laddove voi siete i destinatari di un inatteso e gratuito gesto di bonta’ e nonostante il vostro desiderio siete impossibilitati dal poter ringraziare? Ognuno di noi puo’ richiamare alla memoria episodi (piccoli o grandi non ha importanza) dovie siamo stati amati e cosi’ provocati ad esprimere il nostro “grazie”, e senza la possibilita’ concreta di poterlo fare. Che fare dunque?



Qui ad Emmaus possiamo vedere ogni giorno come i lavoratori stranieri cercano di esternare la loro gratitudine per averli aiutati nelle loro necessita’ (salari, incidenti sul lavoro, documentazione, contributi per le spese ospedaliere, etc), l’urgente desiderio di ringraziare traspare sui loro volti e si esprime in piccoli regali (un cesto di frutta, delle bevande, qualche biscotto).. Alla loro domanda” Come posso ringraziarvi?” corrisponde la nostra risposta “Cerca anche tu di fare altrettanto!”; non e’ forse questa la risposta data da Gesu’ a chi ammirava la bonta’ del Samaritano? (cfr. Lc 10)

   Gesu’ in parole ed opere passo’ beneficando molti, al punto da consegnare se stesso dicendo “Fate questo in memoria di me”. Il nostro modo di dire grazie e’ fare quanto lui ci ha mostrato “amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”.



Rieccomi nella metro, dopo un po’ mi sono alzato ed ho lasciato il posto a qualcun’altro, senza troppe parole ma con un sorriso stampato sul volto. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8)

Ti sei sentito voluto bene da qualcuno? Passa quello stesso amore a qualcun’altro, lasciati cosi’ portare dalla corrente!

Sunday, February 19, 2012

MI MANCA TANTO IL CARNEVALE



     In questi giorni di carnevale il pensiero corre alle sfilate e maschere in paesi noti e meno noti, da Rio di Janeiro al ritmo di samba e abiti succinti, alle piu’ eleganti maschere del carnevale veneziano, alla satira politica di quello di Viareggio, e per non andar troppo lontano c’e’ il Carnevale di Putignano e perche’ no...quello di Savignano!
     Poca importa il luogo e tanto meno il ritmo musicale della sfilata, a me manca tanto il carnevale, non perche’ non lo viva ormai da anni qui in Asia dove rimane un illustre sconosciuto. Mi manca il carnevale come tempo di gioia, di maschera da preparare e poi indossare, anche come tempo di trasgressione, seguendo il detto latino “semel in anno licet insanire” In un ben definito periodo di ogni anno tutti sono autorizzati a non rispettare le convenzioni religiose e sociali, a comportarsi quasi come se fossero altre persone. Questa tradizione era spesso legata alla celebrazione del carnevale, la cui etimologia rimanda alla distinzione tra periodi di festa e altri di astinenza ( “carne, vale” addio carne), cosi si termina con il Martedi grasso lasciando il posto al Mercoledi delle Ceneri che apre la Quaresima.

Mi manca il Carnevale come periodo, come tempo proprio, tempo dove anche cio’ che abitualmente non sembra trovare spazio trova il suo tempo e spazio, e cosi “ogni scherzo vale”. L’altro giorno seguivo un gruppo di bambini cinesi alle prime armi con l’apprendimento della lingua inglese e avevano tra le mani un foglio con il nome delle varie stagioni da abbinare alla neve dell’inverno, ai fiori e farfalle della primavera, al sole e mare di una spiaggia in piena estate ed un cesto colmo di frutti del periodo autunnale. Mi chiedevo se da noi esistono ancora le stagioni, quando poi si mangia frutti di ogni stagione durante tutto l’anno, esiste ancora la frutta di stagione? ve lo ricordate voi il gelato che arrivava solo durante “la stagione”, chiedete ai vostri nonni del negozio di Amgiolina “Tuccian”.


     L’alternarsi delle stagioni perche’ ogni cosa ha il suo tempo, in una connessione necessaria pur nella distinzione; il tempo dell’aratura in cui preparare il terreno per la semina, lasciando al freddo inverno il compito di fecondare quella terra con soffice neve e abbondanti  pioggie, ai primi tepori di primavera per rinvigorire il verdeggiare del frumento che il sole cocente d’estate fara’ imbiondire, pronto per il sospirato raccolto. Alternarsi di stagioni metereologiche e del cuore.

 E ritornando al carnevale, il ricordo va alle umili maschere di cartone ed elastico comprate a poche lire, ai disegni fatti in classe per le tipiche maschere regionali: l’Arlecchino di colori, servo balordo e scansafatiche; Brighella, servo astuto e intrigante; Pantalone, vecchio mercante avaro e brontolone, e poi a ruota ecco sfilare Gianduia (Torino), Colombina (Venezia), Meneghino (Milano), Balanzone (Bologna), Stenterello (Firenze), Rugantino (Roma) e Pulcinella (Napoli)...

Ecco il carnevale come simbolo e metafora di stagioni del cuore, dove c’e’ il tempo per ogni cosa, tempo per il diverso ed anche il contrario, tempo per la distinzione e tempo per lasciare spazio ad una nuova stagione, in un susseguirsi ed alternarsi che crea unione e possibilmente comunione. Ed anche il carnevale ha il suo tempo e spazio, tempo dunque per indossare la maschera e tempo, speriamo, anche per toglierla.


Viva il carnevale, diamo spazio al tempo; tu quale stagione stai vivendo?

Friday, December 30, 2011

FUOCHI D’ARTIFICIO E POLVERE DA SPARO


Le feste paesane conservano ancora la capacita’ di celebrare come comunita’ momenti importanti quali ad esempio la festa patronale. Qualche mese prima si organizza il comitato festa, si delinea pian piano un programma civile e religioso, e la domenica tra messa e mercato vedi scorazzare quel gruppetto di intrepidi volenterosi con un sorriso sempre pronto ed il sollecito a contribuire per la festa. Certo ci sono feste piu’ o meno riuscite, in molti si guarda al cantante di grido per la serata finale, qualcuno da’ un’occhiata al triduo con predicatore  piu’ o meno all’altezza del compito.... ma tutti attendono i fuochi d’artificio!

Ogni festa, piccola o grande che sia, non puo’ rinunciare ai fuochi d’artificio; in alcuni paesi delle nostre parti si fanno addirittura le gare dei “fuochi pirotecnici” su basi musicali, ma anche ‘due botte” sparate dal fuochista di turno vanno bene! L’importante appunto e’ che la festa abbia i suoi fuochi d’artificio. Detto in altro modo e’ un po’ come la classica ciliegina sulla torta.



Quel rincorrersi nella notte di luci e colori, con crepitare di suoni familiari, quel variegato sfarzo di forme e colori trovano tutti la loro origine nella povera e spesso dimenticata....polvere da sparo!   Quante occasioni nella nostra vita che hanno il sapore ed il colore della festa con i suoi incredibili fuochi di artificio? Una festa di matrimonio ad esempio, e’ il coronamento di lunghi anni fatti di timidi approcci, lunghe passeggiate, dialoghi conditi da parole e improvvisi silenzi, progetti sul futuro e poi... il fatidico si’, sonoro e solenne davanti agli amici e parenti in lacrime, si’ fuochi d’artificio.... ma quanta preparazione alle spalle, quanta polvere da sparo, raccolta, accumulata e custodita perche’ rimanga asciutta e pronta all’uso.

    Un successo nel proprio lavoro, una promozione, una nuova vita che inizia, amici ritrovati, dissidi sopiti, conflitti stemperati....tutte forme che sanno di fuoco d’artificio, una festa resa possibile perche’ nel quotidiano rincorrersi di vicende ordinarie, nascoste, quasi insignificanti ci siamo presi cura dell’essenziale: la polvere da sparo!       
                   
   Polvere da sparo e’ credere nei valori ricevuti e continuare con perseranza e quasi testardaggine, al di la’ di ogni difficolta’ che sperimentiamo fuori e dentro di noi; il bambino che finalmente grida le prime parole e’ come il fragore di un fuoco d’artificio, ma solo la mamma sa dei tanti ed innumerevoli tentativi, del balbettio di suoni che ne rappresentano la polvere da sparo. Cosi’ per tutto il nostro quotidiano vivere tra sussulti e delusioni, tra entusiasmi e frustrazioni, tra voli ad alta quota e vuoti d’aria improvvisi, cercando di conservare sempre asciutta quella umile e tanto necessaria polvere da sparo, perche’ la festa non e’ tale senza i desiderati fuochi d’artificio.
    Nel salutare il nuovo anno ripercorriamo i tanti momenti in cui abbiamo conservato la polvere da sparo e via in piazza a celebrare, goditi i tuoi sudati e percio’ancora piu’ belli fuochi d’artificio!  Che la festa abbia inizio!

     un aspirante fuochista


Wednesday, August 3, 2011

LE TENTAZIONI DEL MISSIONARIO


Il mese scorso ero in Italia per il giubileo degli emigranti  e alloggiando presso la nostra casa generalizia ho avuto modo di incontrare tanta gente, missionari che svolgono la loro attivita’ in tanti paesi diversi per lingua e cultura. Al di la’ delle diverse situazioni che si possono vivere c’e’ in tutti il desiderio di portare avanti i valori del regno di Dio e questo con lo slancio e lo zelo tipico di chi e’ stato afferrato dall’amore del Cristo e vuole donarlo ad altri.

Li’ ho incontrato anche p. Enzo conosciuto ai tempi del seminario e con cui non ci vedavamo da una decina d’anni. La gioia di incontrarsi e la voglia di dirsi tante cose (“che hai combinato  in questi anni? Come ti trovi a vivere in un altro paese? Quali sono le soddisfazioni e quali invece le sofferenze?”), un alternarsi continuo di domande e risposte fatte alla luce di una luna che ti illumina fin nel profondo rivelando quanto si muove nell’animo. Piazza Navona, il Pantheon e la gelateria all’angolo facevano come da spettatori al nostro parlare e alla condisione delle nostre esperienze di vita. Del missionario si suol parlare in termini di slancio, coraggio, sacrifici e amore per il Cristo e la sua gente, ma che ne e’ delle sue tentazioni? Tentazioni del missionario?!

                                                          

Quante volte persone vicine (per lo piu’ suore o qualche pia donna) mi hanno avvicinato e promettendomi sostegno e qualche preghiera mi hanno detto sottovoce : “Mi raccomando p. Giovanni alle tentazioni!”. Il pensiero corre rapido a qualche gonnella, al dolce volto che ammicca un sorriso o alla sete di denaro e possesso, oppure ad una vita vissuta da cavalieri solitari al di la’ dei legami di una comunione vissuta con altri missionari (sono questi alcuni degli aspetti salienti dei tre classici voti:castita’, poverta’ ed obbedienza). Ma sono davvero queste le tentazioni del missionario? Non lo credo e il parlare con p. Enzo cosi’ come con tanti altri mi dice che tante altre possono essere le tentazioni e tra queste quella piu’ pericolosa sembra essere quella di vestire il mantello del Messia. Io che pian piano prendo il posto di Dio: mi e’ fin troppo chiara la sua volonta’ (mentre e’ solo una mia idea), la si attua in questi termini ( ed e’ il mio io che cerca spazio)e la gente che incontro diventa pian piano solo un mezzo per assecondare il mio progetto spacciato per volonta’ divina. Non che lo si faccia in mala fede, resta percio’ una sottile tentazione che strisciando si insinua fin nei nostri piu’ santi desideri (ricordate il serpente nella Genesi e il suo :”perche’ cosi’ facendo sarete come dei”?). Mi sono riguardato quanto gli evangelisti ci dicono riguardo le tentazioni di Gesu’; non si parla tanto di gonnelle e sete di possesso quanto piuttosto si insiste su quel :”Se tu sei il Figlio di Dio..”.

                                                              

La tentazione e’ quella di prendere il posto di Dio ed agire come se non si abbia piu’ da imparare, perche’ troppo presi dalle proprie sicurezze di conoscenza e modalita’ operative. Il vangelo di Luca ci ritrae un Gesu’ continuamente alle prese con la tentazione di non agire in umilta’ e debolezza (il demonio prima e gli scribi e la gente poi gli ripetono : “Se su sei il Figlio di Dio…”, “se sei il Cristo di Dio…”, “se tu sei il re dei Giudei..”, “non sei tu il Cristo?”).

Quali son le voci che motivano il nostro impegno pastorale e sollecitano la nostra presenza missionaria? Tutti come battezzati siamo chiamati ad essere missionari e percio’ invitati a discernere contuamente la volonta’ di Dio; noi non possediamo la verita’ semmai siamo da lei posseduti.

                                                                                      
Queste le riflessioni fatte alla luce di una pallida luna e tra le mani un gelato che si consumava troppo in fretta…
                                                                                   Giovanni omi

Monday, July 4, 2011

THE CONSTANT GARDENER

Sitting on the stairs, staring at the wet garden after a suddenly rainstorm which has almost destroyed the little flowers planted last month. Little flowers they call “Italian poksungha”, so weak at the appearance and yet able to bloom again as soon as the sun is back and this will go on until winter comes in. The garden there in front of me… how many years looking after it: trees to prune, weeds to uproot, grass to cut, flowers to plant and water. The different trees have a cycle of their own, each are different in shape and time of blooming and even with their fruits to collect and eat. A garden that can satisfy the eyes with colors and shade, the nose with perfumes in spring and fall season, the taste of its fruits… and yet it changes through the seasons; each season has its place in coming and going as well. A cycle of nature to be acknowledged and respected, simply because “there is a time for everything”.

The main gate to our little garden has stories to tell only to those who have ears to hear an time to seat and listen. How many persons have passed through in coming and going, being a desired guest waited for so long, or people who have just come for business, never mind the intention, all have crossed that gate which has changed the paint color few times. The garden has witnessed  my enthusiasm when cutting the grass and planting the flowers, I did imagine group of friends gathering for a barbecue and a cold beer under the trees’ shade. In that same garden I have walked alone with the desire to be in solitude or because there was a sense of being alone with no one to walk with, out of loneliness. To the garden you give attention and care season after season and yet you receive much more because it is a metaphor of ourselves, where body and spirit are claiming that attention and care. Everything at the proper time and with constant care..

These are some of the thoughts that crossed my mind like clouds in the open sky, carried by the summer breeze… the can of beer I was drinking is now empty, time to return “to be busy” and be carried by the usual activities.


A little reflection about gardening; where is the garden and who is the gardener? Do not make my same mistake of thinking that you were the one, I mean the gardener. I was rather trying to talk about me as a garden always in need of care throughout the seasons and of course of God as the constant gardener. Enjoy your season!                      

                                                                          Giovanni omi

Thursday, June 23, 2011

Polvere di marmo

La maestosita’ di quella cupola, la linearita’ delle forme, l’avvicendarsi delle colonne quasi ad inseguirsi in un gioco plastico dove il grande sembra piccolo e tutto si ricompone in simmetria, e cosi’ san Pietro rimane impresso in noi come solo i capolavori sanno fare. E tra tante opere d’arte ti attrae quel marmo reso cosi’ leggero che sembra far da velo a Maria che accoglie tra le braccia il corpo troppo pesante del figlio morto, altra meraviglia di un genio giovanile che si cimenta a creare forme. E che dire di quel susseguirsi di di figure bibliche in quella cappella Sistina il cui soffitto sembra essere un ritaglio di cielo in terra? Quei corpi che nella loro nudita’ dicono sacralita’ tanto quanto e forse piu’ degli incensi e paramenti sacri usati per la liturgia di quel luogo sacro. Che cosa hanno in comune questi capolavori se non il genio, la sgregolatezza e passione di un uomo che ha fatto dell’arte la sua vocazione? Michelangelo, una passione che lo ha consumato tra consensi e critiche di ogni genere; si racconta di lui che non fosse un carattere facile e delle tante controversie con i suoi protettori, ammiratori e critici.

Mi ricordo di quel fatterello allorquando era alle prese con il Mose’, cosi’ bello e vero ai suoi occhi da gridarli addosso “Perche’ non parli?” e allo stesso tempo qualcuno lo critico’ suggerendo qualche ritocco all’opera. Ecco allora Michelangelo salire la scala, produrre un suono di scalpello e lasciare cadere un po’ di polvere di marmo che aveva nascosto nel pugno della mano. “ E adesso come va?”,  “ Molto meglio” rispose il critico, ritornando a casa contento di aver dato il suo prezioso contributo per la realizzazione di una opera d’ arte.
Quante critiche dentro e fuori di noi! Ecco allora della polvere di marmo quando non si e’ contenti di se stessi per quella discrepanza tra desiderio e realta’; ancora un po’ di polvere di marmo quando le contraddizioni sono pane quotidiano in quegli slanci che si perdono per via prima di raggiungere il traguardo. E allentare ancora il pugno e lasciare che cada ancora polvere di marmo sulle voci e sguardi di quanti sembrano avere sempre da ridire per un ulteriore ritocco di quella statua, opera delle tue mani. Lo slancio di quel genio chiamato Michelangelo e’ visibile in quei capolavori fatti ancora ventenne, ma ancor piu’ affiorano e si sprigionano in quella contorsione dei corpi abbozzati che fuoriescono dalla roccia, chiamati appunto i “Prigioni”. Opera delle vecchiaia e veri capolavori dove la durezza del marmo e’ stavolta insufficiente a contenere ed esprimere il desiderio struggente dell’artista. Si tratta, come noi, di opere ancora e sempre in corso.

     Un ritiro predicato ad un gruppo di sacerdoti, il toccare con mano una grazia cosi’ spessa e densa da poterla tagliare a fette, con confessioni dove l’animo ha nostalgia infinita di innocenza e li’… le voci dentro e fuori per ulteriori perfezionamenti sull’opera che prende forma. Anche qui un’ altra manciata di polvere di marmo. E quando poi sei tu a sentirti sotto esame e le critiche si rivolgono a Dio perche’ faccia i suoi ritocchi beh … allora sara’ Lui, l’Artista,  a scendere quella scala, lasciando cadere polvere di marmo e sedersi compiaciuto di fronte alla sua creatura, invitando noi stessi alla primitiva meraviglia, “cos’e’ l’uomo perche’ te ne curi, il figlio dell’uomo perche’ te ne dia pensiero? Eppure lo hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato” (salmo 8).
Non continuare a stringere i pugni, ma apri la mano e lascia cadere quell’ultima manciata di polvere di marmo!                                                                                                                                   
                                                                                                                  P.      Giovanni omi