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ciao Giovanni

Monday, May 23, 2011

ERA IL MAGGIO ODOROSO...


  Le parole del poeta introducono ad una stagione dell’ anno, la primavera cosi’ carica di promesse che diventa simbolo di altre stagioni della vita quando l’ideale e’ presentato come visione che deve alimentare il quotidiano. “Era il maggio odoroso e tu cosi’ solevi menare il giorno...”; qui in Corea e’ proprio il mese di maggio che illustra appieno il carattere di questa gente, che vede nella famiglia e nel lavoro gli ambiti in cui esprimere tutta la sua vitalita’. Si esce da un inverno lungo e rigido ed il tempo e’ occasione per un susseguirsi ininterrotto di celebrazioni: la giornata dei bambini, quella dei genitori, quella degli insegnanti, la nascita del Buddha, le liturgie per Maria, i matrimoni, etc. In questo rincorrersi di celebrazioni, abbiamo cercato anche noi Oblati di trovare un posticino per celebrare la festa di sant’Eugenio.


    Dopo i primi anni in cui la celebrazione aveva luogo nella nostra casa durante la domenica piu’ vicina al 21 maggio, ora tutto si svolge nella vicina parrocchia che e’ santuario dedicato a Maria, nel giorno stesso della morte del nostro fondatore. Come ogni anno e’ occasione per ritrovarsi come famiglia oblata, con quanti ci sono vicini nelle attivita’ apostoliche e in vario modo sostengono e condividono la nostra vita religiosa e missionaria. Gli Oblati da queste parti non sono un gran numero, ma conservano il desiderio di voler abbracciare i confini del mondo (cfr. Fondatore nel 1818), siamo solo otto padri ma di ben sei diverse nazionalita’ (Corea, Bangladesh, Filippine, Sri Lanka, India ed..Italia!), immaginatevi quindi quanto restino valide le parole del fondatore (carita’ dentro e zelo al di fuori). E’ una sfida che siamo chiamati a raccogliere nel vivere l’internazionalita’ con i suoi limiti e le sue potenzialita’, e come diceva Eugenio “benche’ il loro numero per ora ristretto li inducano per il momento a limitare l’ambito del loro zelo”, due di noi partono per altri lidi (Bangladesh e Cina).



E’ la vita che procede tra alti e bassi nella ricerca di una fedelta’ rinnovata nella festa di sant’ Eugenio, in questo “maggio odoroso”, in cui noi cosi’ “soliamo menare il giorno”.

Thursday, March 31, 2011

PROFUMO DI PRIMAVERA


Profumo di primavera Laltro giorno immerso nei miei pensieri mentre uscivo dalla metropolitana sono stato come invaso dal vocio fragoroso di bambini alluscita da scuola. Un rincorrersi lun laltro e gridarsi addosso la voglia di vivere; I maschietti in piccoli gruppi con ai piedi le scarpe da calcio e il sudorere ancora grondante sulla fronte, le bambine invece a due o tre a confidarsi i loro piccoli segreti mentre insieme mangiucchiavano una pizzetta.
Voglia di vivere e freschezza che traspare sui loro volti mentre incuriositi dal mio andare lento e pensieroso mi lanciano un hello goodmorning! e passano oltre ridacchiando tra  di loro.
Il giornale ci ha gia annunziato larrivo della primavera (ipchung) e in ufficio abbiamo gia mangiato i 5 diversi tipi di vegetali (onupap) preparati da una gentile signora. Il calendario ci dice insomma che siamo gia in primavera ed e difficile crederlo quando la temperatura allesterno e ancora sottozero!
Eppure linvito e pressante ad uscire dal nostro letargo e cogliere i segni di una primavera che e gioia di vivere e celebrazione di una vita che continuamente si rinnova. La bibbia stessa ci ricorda di passare oltre e far attenzione ai segni di una primavera che e continuamente alle porte: Vieni mia bella, amore mio, vieni con me. L inverno e passato; la pioggia e terminata, nella campagna  I fiori son sbocciati. Questa e la stagione del cantoVieni amore mio, vieni con me Canto dei cantici 2:10-13)


 Quali sono dunque i segni della primavera?
Quando ero scolaro anchio (non moltissimi anni or sono ) la maestra ci portava sul prato e li tra erba fresca, fiori appena sbocciati e farfalle ai primi voli ci spiegava il ciclo delle stagioni e di come linverno freddo e scuro lasciava pian piano spazio ad una primavera che si annunciava fresca e profumata.
Anche dentro di noi ce una primavera che attende di essere liberata e venir fuori
Ogni qualvolta non ci lasciamo intrappolare dal negativo che e presente dentro e fuori di noi, ogni qualvolta siamo capaci di andare oltre e allora che spandiamo profumo di primavera.
Profumo di primavera e Hussain, lavoratore illegale del Bangladesh che prontamente prepara del cibo del suo paese per un lavoratore del Pakistan che giace infermo in ospedale.
 Profumo di primavera e una bambina buddista coreana e birichina che con la mamma viene a trovarci in ufficio e consegnadomi una lettera mi dice di consegnarla ad un altra bambina mongola che necessita di una operazione; dentro ci sono i soldi con cui la mamma le avrebbe voluto comprare il regalo per natale e che invece lei ha deciso di donare alla bambina mongola.

 Profumo di primavera e l andare oltre cio che rappresenta il nostro limite (conflitti, gelosie, voglia di arrendersi alle circostanze, incomprensioni, differenze culturali). La natura intorno a  noi ci ricorda che allinverno segue la primvera, ce sempre la speranza alla porta.
E noi? Anche noi come piccoli scolari sprigioniamo la voglia di vivere e celebriamo i segni di una primavera ceh puo durare tutto lanno.
                                            

Anche tu puoi essere profumo di primavera

Ciao  P.Giovanni omi

Thursday, March 10, 2011

TRA FRONTIERA E CASA

MAXIME AUTEM AD DOMESTICOS FIDEI
“Si piglia gioco di me?” interruppe il giovine. “Che vuole ch’io sappia del suo latinorum?” Beh, spero solo che questa mia riflessione non produca su di voi una reazione simile a quella di Renzo nei Promessi Sposi al sentir don Abbondio arrampicarsi su espressioni latine cosi strane. La  mia  vuole essere solo un tentativo di riflessione  sull’andare oltre e sul senso della missione. Quale possibile reazione poteva provocare una tale espressione nell’animo di un giovane seminarista alla ricerca di una vocazione missionaria che sembrava come d’improvviso sgorgare tra le rocce di una formazione cosi’ sistematica ed ordinata? I lunghi nove anni del seminario diocesano spingevano alle spalle e consolidavano l’impulso a forzare porte con le mani e spalancare lo sguardo insieme al cuore su distese oltre frontiera.  La frase l’avevo letta su quel libro regalatomi da un Oblato che visitando i seminari si era imbattuto in quel giovane cosi’ ostinato e fermo nel volere superare “la frontiera”.

Poco riuscirono a fare l’affetto dei compagni, la stima dei formatori e le lacrime sui volti dei genitori per quel figlio che si entusiasmava all’oltre. Il libro raccontava la vita dell’allora beato Eugenio de Mazenod, quando anche lui si senti’ come afferrato da una tensione e trascinato a lasciare quanto sembrava solo a portata di mano (possibile matrimonio, carriera militare, contesto nobiliare). Superata l’indecisione , ecco Eugenio che entra in seminario, gli anni di formazione e l’amicizia con Forbin-Janson, anche lui fortemente animato da spirito missionario. “Coerenti con i loro ideali, una volta ordinati sacerdoti, Eugenio era tornato nella sua Provenza e Forbin-Janson era corso dal Papa per proporre un vasto programma di evangelizzazione della Cina. Il Papa gli aveva risposto in un modo che a Forbin-jJanson sara’ sembrato un freno, e che aveva invece incoraggiato e fatto esultare Eugenio; “Il vostro progetto di andare in Cina e’ buono, senza dubbio, ma prima di tutto occorre venire in aiuto delle popolazioni che ci sono d’attorno: maxime autem ad domesticos fidei. Occorrono, soprattutto in Francia, delle missioni al popolo e dei ritiri per il clero”. (cfr “Eugenio de Mazenod, un carisma di missione e di comunione” scritto dal nostro caro Fabio Ciardi).
“Maxime autem ad domesticos fidei” non era certo per me, perche’da me capita solo  come attenzione ai propri, ai familiari, alla patria, ma io volevo fortemente andare oltre e come puledro annusavo solo l’aria d’oltralpe. Altri anni di formazione, lo scolasticato internazionale, l’esperienza di due anni nelle Filippine tra montagne ed isole remote e poi…finalmente la Corea. Ed ancora oltre, la ricerca di nuove forme di apostolato, i lunghi anni sulla strada con gli immigrati, e poi ancora oltre con la visita all’isola di Sakkalin (Russia), il caldeggiato e sospirato progetto d iniziare una missione da quelle parti, le parole incoraggianti del Padre Generale e poi la doccia fredda del Consiglio Generale, perche’ bisognava consolidare innanzitutto la nostra presenza in Corea.  Ancora oltre con il lavoro di predicazione della Parola di Dio attraverso conferenze, ritiri seminari e quant’altro a preti, religiosi e laici. Quante frontiere all’esterno, superate in parte e altre ancore da superare; si’ ma verso dove?

Maxime autem ad domesticos”…. Vi sono altre frontiere e sono quelle dentro di noi, piu’ vicine, intime e forse percio’meno visibili e perche’ no? piu’ difficili da oltrepassare. Quanto vero quello che Agostino scopre dopo tanto vagare, scoppiando in quell’esclamazione : “Ti ho cercato fuori di me e Tu eri dentro di me, piu’ intimo a me di quanto io lo sia a me stesso!”. Ecco il primo “domestico” verso cui innanzitutto dirigersi risolutamente, quando si ha come la grazia di percepirne come il sussurro e ci si scopre afferrati da una inquietudine che non ti lascia piu’ tranquillo. Mi viene difficile esprimere quanto vado avvertendo sempre piu’spesso, che cioe’ il missionario ha bisogno di sapere e sperimentare CASA, e di farvi ritorno spesso, perche’ le possibili molteplici frontiere sono solo rimandi, echi, profumi, sapori di quanto e’ OLTRE e paradossalmente INTIMO. Eccomi allora ancora una volta alla ricerca verso un’ultima frontiera; che sia questo il vero cammino della santita’?
P. Giovanni Zevola omi

Saturday, January 29, 2011

IL MERCATO


Piccoli paesi di montagna dove la vita scorreva con il lento alternarsi delle stagioni e non c’era bisogno della televisione per sapere “il tempo che fa”, era il contatto con la terra ad indicare il calendario delle cose da fare e cosi’ prepararsi per la prossima stagione. Il passare dei giorni era anche ritmato da cadenze settimanali, quali la domenica in quell’ “andare a messa ed al mercato”. Si`, era occasione di “mettere il vestito della domenica” appunto e ritrovarsi a piccoli gruppi al mercato, non tanto per comprare quanto piuttosto per “stare in piazza”ed ascoltare novita`, scambio di notizie e saluti e rinfrancare cosi` legami umani dettati da simpatia, parentela o semplice conoscenza. C’era anche l’andare a messa, talvolta forse piu’ per abitudine che per personale convinzione, eppure il tutto diceva senso di appartenenza e legami tra uomini e cose, e con un Dio di cui si coglieva la presenza in chiesa e forse ancor piu` in quell’ alternarsi di giornate ritmate da faccende da sbrigare tra famiglia, casa, stalla e campi. Ancora oggi capita di rivedere questi piccoli mercati settimanali e verrebbe voglia di ringraziare quanti espongono la loro merce, non tanto per quello che offrono sui loro banconi quanto per l’occasione che creano per ritrovarsi e scambiare quattro chiacchiere.

In maniera lenta e progressiva queste scene stanno scomparendo ed il mercato non e’ piu` settimanale, non occorre piu` uscire ed andare in paese; “il mercato” viene in casa a tutte le ore, anche quelle piu` sacre quando la famiglia stenta a ritrovarsi intorno alla tavola per mangiare insieme e nutrirsi anche di quei rapporti semplici che sostengono le relazioni familiari. Ai fruttivendoli e venditori vari del mercato di paese subentra una televisione sempre accesa che propone la “solita mercanzia”, con toni sempre piu` accesi ed urlati. E non c’e` possibilita` di dialogo, di una risposta pacata che nasce da riflessione personale o di gruppo. Si e’ come bombardati, sotto assedio con notizie che non sollevano, non nutrono, ma che alimentano disagio e rendono pesanti e disfattisti, perche` questo e` “il tempo che fa”.
“Temporali, alluvioni, terremoti, inondazioni” non climatici ma di informazioni su scandali e politica di un paese che sembra aver perso l’orientamento, perche’ incapace di guardare in alto e fissare le stelle.
Disorientati ci ripetiamo addosso quanto appena ascoltato e non riusciamo a digerire, perche` troppe informazioni gridate a squarciagola non riescono a traformarsi in formazione personale o di gruppo. Ci manca la capacita` di far decantare, di far posare e valutare e quindi di avere opinioni e chissa` anche qualche convinzione personale.

Il vino, quello buono, quello fatto in casa che bisogna “far posare” e non agitare, bello da vedere e ancor piu` da gustare in compagnia, perche` schietto e naturale. Ne avete ancora qualche bottiglia in cantina? Conservatela con cura e bevetela con gusto intorno a quella tavola dove le informazioni si fanno personali ed hanno tutto il sapore dello scorrere lento del tempo e dell’alternarsi delle stagioni.

A buon intenditore poche parole.

Friday, December 31, 2010

ASPETTANDO IL NUOVO ANNO


Ogni nuovo anno e’ carico di promesse e speranze. Aspettando il nuovo anno si fanno nuovi propositi e piccoli progetti: perdere qualche chilo di troppo con una buona dieta e qualche esercizio fisico, contattare o visitare amici che non vediamo da un pezzo, leggere qualche buon libro, visitare quella localita’… Piccoli progetti ma che dicono tutta la nostra voglia di ricominciare, di lasciarsi alle spalle il vecchio anno con la sua pesante quotidianita’ ed entrare invece nel nuovo anno con rinnovato vigore e con l’ augurio che sia migliore. Non mancano certo attivita’, incontri e feste per celebrare l’arrivo del nuovo anno, si va dalle cene tra amici ai veglioni di fine anno con tanto di balli e musiche.
Dalle mie parti si celebrava in maniera un po’ insolita: la notte di san Silvestro (ultimo giorno dell’anno) al suonare della mezzanotte la gente lanciava dalle finestre piatti e bicchieri vecchi, qualche stoviglia… Un modo piuttosto concreto di buttare via il “vecchio” e fare posto al “nuovo”, la voglia appunto di novita’, di ricominciare con rinnovato slancio.



Vi ricordate il film “Mission”? E’ la storia in particolare di due missionari gesuiti nelle missioni del Sud-America. L’ho rivisto tre-quattro volte ed ogni volta resto colpito dalla scena dove un missionario (Robert De Niro) trascina dietro di se’ un bagaglio che contiene la sua armatura di ex-soldato. Per gelosia aveva ucciso un suo amico ed ora come penitenza si trascina dietro la sua pesante armatura. La scena fa vedere questo ex-soldato che si arrampica lungo delle cascate ed ogni volta che il pesante fardello rotola a valle, scende giu’ a riprenderlo e ricomincia la salita. Alla fine sulla cima incontra un indigeno che con la spada gli si avvicina, solo per tagliare la corda che lo lega al suo passato. Il bagaglio precipita a valle e l’ex-soldato abbracciando l’indigeno scoppia in un fiume di lacrime liberatorie. Ora libero da quanto lo legava al suo passato puo’ ricominciare la sua nuova vita di missionario.



Cosa e’ che ci lega e ci impedisce di camminare in scioltezza? Il nostro passato puo’ divenire un pesante fardello che fatichiamo a trascinare con noi: incomprensioni, piccoli conflitti, gelosie…Tutto questo puo’ generare un senso di pesantezza e un blocco nelle nostre relazioni a livello personale, familiare e di comunita’. E allora?
Facciamo nostre le parole di san Paolo: “ Se uno e’ in Cristo e’ una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor. 5, 12).
Quest’ anno cosa possiamo gettare dalla finestra? Liberiamoci di quanto ci ostacola nella nostra corsa verso la santita’. E con san Paolo gridiamo anche noi : “dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta” (Fil 3, 13).

Buon anno cosi’ !

Friday, December 24, 2010

L’ATTESA E POI LA SORPRESA!


Quante volte il desiderio ci ha portato altrove, in altri spazi, in altri mondi quasi a voler trovare quella pace e serenita’ che la vita quotidiana sembra negarci. E abbiamo immaginato la “vacanza da sogno” dove liberarsi da ogni stress e condizione; questo il tentativo di ognuno di noi e anche per chi, con animo religioso, ha guardato al “cielo” come spazio di liberta` ed armonia. Quando ci si sente pressati dall’andirivieni della nostra vita allora l’altro, il diverso, lo straordinario appaiono all’orizzonte come dolci sirene pronte ad appagare quel nostro desiderio di sfuggire all’ordinario. E’ il tempo dell’ attesa, che va dall’aspetto laico ( “ancora qualche settimana e poi finalmente le sospirate vacanze”) a quello piu’ religioso ( “un giorno il Regno di Dio sara’ realta’ piena”). Il tempo di preparazione al Natale e` proprio questa attesa di qualcosa di diverso o meglio di Qualcuno che venga dall’alto e con il profeta Isaia abbiamo guardato al cielo facendo nostra la sua invocazione: “Oh se i cieli si squarciassero e facessero piovere il Giusto”.
Da un parte il desiderio di altro, di cielo ed insieme la constatazione della difficolta`, della differenza appunto tra cielo e terra. Attesa di qualcosa di diverso, di straordinario, di un cambiamento radicale che nasce da un cuore insoddisfatto dal presente, da cio` che viviamo nelle relazioni con gli altri a cominciare da quelli piu` prossimi. Le insoddisfazioni come risultato delle nostre stesse ambizioni e la voglia d’altro appunto, espressa anche in un Dio che sia, almeno lui, “straordinario”.

L’avvento vissuto come attesa e poi il Natale che ci sorprende, perche’ troppo “ordinario”. Ai pastori alle prese con le occupazioni di ogni giorno, nella notte di veglia appare una grande luce e gli angeli indicano un segno che non ha niente di straordinario:             “ un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. Tutto qui? Dov’e` dunque il tanto sospirato diverso, l’altro, il celestiale?

Dall’attesa alla sorpresa; quella di un Dio che dall’alto dei cieli si rivela nel quotidiano, nell’ordinario. La Parola che si fa uomo, si fa carne, che e` la nostra debolezza, fragilita`, precarieta’. Il segno del Natale in quel bimbo che ha bisogno di accoglienza, di cura, di premure e attenzioni che solo lo sguardo di una Madre sa cogliere in profondita`. Accogliamoci dunque l’un l’altro nelle fragilita’ vissute, nelle disillusioni sperimentate e nelle fragilita’nascoste, in uno slancio che nasce solo dalla fede di chi scopre lo “straordinario” nel nostro quotidiano.
Buon Natale a tutti ed a ciascuno in particolare.

Saturday, December 4, 2010

COSTRUIRE PONTI



Il ponte di Brooklyn, il Golden di San Francisco, il ponte di Londra e per non andare troppo lontano i diversi ponti che attraversano Han River qui a Seoul. Oltre la loro bellezza i ponti hanno una funzione fondamentale: facilitare la comunicazione tra due sponde. Ogni qualvolta si incontra una distanza (fiume o valle) i ponti sono l’unico modo di superare le difficolta’ e danno la possibilita’ di comunicare tra luogi diversi.

Il popolo di Israele ha cercato di colmare la distanza con loro Dio; talvolta la relazione (“Dio e’ il nostro Dio e noi siamo il popolo da lui scelto”) ha subito delle incrinazioni e difficolta’ e per ristabilirla c’e’ stato bisogno della presenza e della azione dei profeti. Essi erano delle persone sceltre da Dio per parlare al suo popolo e ricordare loro il suo amore fedele. Ogni qualvolta il popolo si allontanava dal suo Dio era compito del profeta costruire dei ponti per ristabilire la relazione tra le due parti (Dio e il popolo di Israele). Costruire ponti significa facilitare la comunicazione e permettere alle persone di incontrarsi e nella conoscenza reciproca di superare le difficolta’, preconcetti e possibili incomprensioni.

Vi ricordate quanto avvenne non molto tempo fa quando i due Kim si incontrarono a Pyongyang e l’impressione che hanno suscitarono su tutti noi? La distanza creata in 50 anni (dalla guerra di Corea)  sembrava come colmata e questo perche’ i due presidenti erano stati capaci di costruire un ponte fatto di rispetto reciproco, accettazione e amicizia. Gli incidenti successi qualche settimana al confine tra le due Coree ci ricordano che la riunificazione del paese non e’ cosa facile da fare in un sol giorno ma ha bisogno di sforzi reciproci per superare distanze che rischiano solo di dividere ed isolare.
Consideriamo la nostra situazione dove ad esempio i lavoratori stranieri vengono in contatto tra loro e con la nostra societa’. Quanti sono i preconcetti, le incomprensioni e le difficolta’ legate al fatto che abbiamo una diversa storia, cultura e lingua? Certo ci sono le difficolta’ ma cosa facciamo per superarle? Stiamo cercando di costruire ponti fatti di comprensione reciproca in modo tale da accogliere l’altra persona con la sua differenza? Non cerchiamo grandi eventi quanto piuttosto i contatti quotidiani e le piccole esperienze, che possono consolidare le nostre relazioni.

Con il battesimo partecipiamo alla regalita’, sacerdozio e profezia di Cristo; la nostra e’ una vocazione profetica, siamo infati chiamati a costruire ponti!